L’ACQUA CONFORME ALL’USO UMANO E’ UN DIRITTO ANCHE A BORDO DELLE NAVI MILITARI

Mentre il vertice della Marina militare per tranquillizzare il proprio personale continua ad escludere ogni sorta di problema per quanto riguarda l’acqua destinata al consumo umano a bordo delle sue navi, mi giungono nuove e preoccupanti segnalazioni contrarie.

Per acqua destinata al consumo umano si intende:
“le acque trattate o non trattate, destinate ad uso potabile, per la preparazione di cibi e bevande, o per altri usi domestici, a prescindere dalla loro origine, siano esse fornite tramite una rete di distribuzione, mediante cisterne, in bottiglie o in contenitori” ed ancora “acque utilizzate in un’impresa alimentare per la fabbricazione, il trattamento, la conservazione o l’immissione sul mercato di prodotti o di sostanze destinate al consumo umano”.

INVITO

tutti gli uomini e donne che prestano servizio sulle unità navali della Marina militare a pretendere dai loro superiori l’immediata pubblicazione dei risultati delle analisi effettuate sulle acque di bordo e in mancanza di risposta a voler segnalare il fatto alle autorità competenti (Procura Militare/Ordinaria) e contestualmente ad inviare una segnalazione al seguente indirizzo di posta elettronica: info@partitodirittimilitari.it

INVITO

l’ammiraglio Valter Girardelli, Capo di stato maggiore della Marina militare, ad un serio confronto pubblico per assicurare una reale tutela della salute di tutto il personale della forza armata perché è fin troppo evidente che già dal 2001, anno di entrata in vigore del decreto legislativo 31/2001, i vertici della Marina militare, della Sanità militare, ma soprattutto quelli politici della Difesa, hanno sottovalutato la reale portata del problema che oggi rappresenta un grave pericolo per la salute di tutto il personale della forza armata.

Luca Marco Comellini

(foto: www.marina.difesa.it)

Sulla questione delle acque di bordo destinate al consumo umano la Marina militare pubblichi i risultati analisi altrimenti le sue sono solo chiacchiere

COMUNICATO STAMPA DEL 22 FEBBRAIO 2018

Oggi numerosi mezzi di informazione hanno riportato integralmente la nota stampa che la Marina militare ha diramato ieri nel tentativo di chiarire la questione delle acque di bordo destinate al consumo umano e la vicenda penale che coinvolge il maresciallo infermiere dott. Emiliano Boi attualmente sotto processo davanti al Tribunale militare di Verona perché accusato di avermi trasmesso alcuni messaggi comprovanti la mancata esecuzione delle previste analisi di laboratorio sulle acque destinate al consumo umano a bordo delle unità navali della Marina militare.
Sulla questione occorre fare alcune precisazioni. Le indagini avviate a seguito della pubblicazione di alcuni articoli di stampa, tra cui uno a mia firma pubblicato su Tiscali Notizie, dall’inequivocabile titolo “Marina Militare: per salvare i migranti rischiano di ammalarsi di legionella”, sono state svolte da una articolazione interregionale operante presso il Comando militare marittimo di La Spezia del Reparto Carabinieri Agenzia Sicurezza Marina Militare posto alle dirette dipendenze dello Stato Maggiore della Marina. Per quanto riguarda le negate azioni disciplinari mi risulta che il vertice militare abbia saggiamente deciso di rimandarne ogni valutazione all’esito del procedimento penale nonostante la normativa vigente consenta ugualmente di avviare e concludere il procedimento disciplinare a prescindere dalla conclusione di quello penale. Invece, per quanto riguarda gli aspetti riferiti alla salubrità delle acque destinate al consumo umano, mi sembra che dalla predetta nota emerga chiaramente l’imbarazzo della forza armata che solo nel luglio del 2016, cioè dopo la pubblicazione del mio articolo, si è resa conto che le disposizioni interne emanate nel 2004 per attuare le tassative prescrizioni del decreto legislativo 31/2001 erano incomplete e/o errate e che i laboratori analisi della forza armata non solo non erano e non sono ancora oggi dotati di adeguate strumentazioni per effettuare tutte le analisi previste dal citato decreto ma, come è emerso proprio nel corso del dibattimento processuale, almeno per quanto riguarda la sede del Dipartimento Militare Medicina Legale di La Spezia (DMML) non risultano essere impiegati tecnici di laboratorio abilitati. Alla luce di queste evidenze la nota diramata ieri dalla Marina militare sembra essere l’ennesima prova, ove già non ve ne fossero a sufficienza, di un comportamento estremamente superficiale del vertice della forza armata che sembra essere la prassi quando in gioco ci sono la sicurezza e la salute del personale. Sembra quasi un estremo e disperato tentativo volto a tranquillizzare l’opinione pubblica e i marinai imbarcati sulle unità navali. Anche la solita storiella della forza armata che “ha sempre agito con grande senso di responsabilità per tutelare la salute dei propri uomini e donne …” oggi non ha più alcun valore e appare anche inopportuna difronte alle continue evidenze di nuove comunicazioni che, come quelle tra nave Grecale e DMML La Spezia già rese pubbliche, ci continuano a raccontare di acque non conformi al consumo umano che non sono mai state smentite da alcuno. Questo modo di procedere del vertice militare, che si fa forte del suo essere “Istituzione” non mi sorprende ne deve sorprendere l’opinione pubblica perché è lo stesso modus operandi già più volte adottato dai vertici della Difesa e da ultimo in occasione della presentazione delle relazioni conclusive della Commissione parlamentare di inchiesta sull’utilizzo dell’uranio impoverito. Ma davvero il Capo di stato maggiore della Marina militare, ammiraglio Valter Girardelli, crede di poter risolvere una questione così importante ove è evidente una incompleta o errata applicazione delle norme in materia di salubrità delle acque destinate al consumo umano a bordo delle unità navali della forza armata raccontandoci che va tutto bene?
Allora dimostri con i fatti quello che afferma e pubblichi sul sito istituzionale della Difesa, per ogni unità navale in servizio dal 2001 fino ad oggi, i risultati delle analisi sulle acque di bordo destinate al consumo umano effettuate secondo le prescrizioni del decreto legislativo 31/2001; pubblichi i documenti di valutazione del rischio previsti dal decreto legislativo 81/2008 e tutti i risultati delle analisi laboratorio previste dai protocolli HACCP. Solo cosi la Marina militare potrà dimostrare di aver agito per tutelare la salute delle donne e degli uomini che hanno prestato e prestano servizio sulle navi della forza armata. Diversamente, come si dice dalle mie parti “le chiacchiere stanno a zero”.

Cappellani militari, Comellini (pdm): Gentiloni s’è piegato davanti alle pretese dei preti con le stellette. Evidenti discriminazioni: nelle Istituzioni ci saranno cappellani di serie A e di serie B

Cappellani militari, Comellini (pdm): Gentiloni s’è piegato davanti alle pretese dei preti con le stellette. Evidenti discriminazioni: nelle Istituzioni ci saranno cappellani di serie A e di serie B.

Roma 10 feb 2018 – Con l’approvazione dello schema di intesa tra la Repubblica italiana e la Santa Sede sull’assistenza spirituale alle Forze armate il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha, ancora una volta, dimostrato la sua personale debolezza e quella delle Istituzioni italiane difronte alle pretese dell’Ordinario militare e i suoi sodali con le stellette. Il premier evidentemente non sa che oltre a quelli militari ci sono anche i cappellani della Polizia di Stato che svolgono la loro opera secondo le regole previste dal D.P.R. n° 421 del 27 ottobre 1999 con il quale è stata data esecuzione all’intesa sull’assistenza spirituale al personale della Polizia di Stato di religione cattolica perché, altrimenti, sarebbe bastato applicare le stesse regole anche per i cappellani militari. E’ facile, forse non per il premier, comprendere le ragioni per cui ciò non è avvenuto. Mentre gli stipendi dei cappellani militari vanno da un minimo di 2000 euro netti al mese fino agli oltre 9000 del generale di corpo d’armata a cui è equiparato l’Ordinario militare, quelli dei cappellani della Polizia di Stato sono determinati nella media aritmetica, aumentata del sei per cento, tra la misura massima e quella minima del congruo e dignitoso sostentamento assicurato dalla Conferenza episcopale italiana, a termini dell’art. 24, comma 1, della legge 20 maggio 1985, n. 222, ai sacerdoti che svolgono la funzione di parroco. In altre parole il cappellano della polizia percepisce in media 1350 euro al mese. È quindi evidente che l’ignoranza di una parte e l’arroganza dall’altra hanno impedito al premier Gentiloni di vedere l’enorme discriminazione tra sacerdoti dello stesso culto religioso a cui lui stesso ha dato vita con l’approvazione dello schema di intesa per i cappellani militari.

Missioni internazionali, Comellini (Pdm): scioglimento Parlamento mette fine a rinnovo missioni

Roma – 28 dic 2017 – “La legislatura è finita e lo scioglimento del Parlamento è solo una questione di ore. È in queste situazioni che il pressapochismo del legislatore italiano emerge in tutta la sua dirompente drammaticità. Per rendersene conto agli italiani, ma anche e soprattutto ai nostri interlocutori internazionali, basta leggere il testo della legge 145/2016 “Disposizioni concernenti la partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali” che, con l’articolo 2, comma2, affida al voto del Parlamento l’autorizzazione per le singole missioni e, col comma 3, al Governo il compito di emanare, entro i successivi 60 giorni, i relativi decreti per il finanziamento.
Tra poco il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, secondo le informazione riportate dai media in queste ore, dovrebbe decretare lo scioglimento della Camera e del Senato e allora, volendo escludere che il premier Gentiloni e la sua ministra Pinotti abbiano potuto anche solo pensare che l’approvazione da parte del Parlamento sui provvedimenti di impiego delle nostre forze armate all’estero sia da considerare un mero fatto scontato o del tutto irrilevante, la questione va senza dubbio rimessa alla sensibilità istituzionale del Presidente Mattarella e alla sua valutazione sulla differenza tra un atto di indirizzo votato da un Parlamento oggettivamente distratto dalla competizione elettorale ed uno deliberato da un Parlamento ancora in carica e nel pieno dei suoi poteri e quindi anche capace di bocciare, senza possibilità di appello le missioni armate e di guerra o, come quella annunciata in Niger, con falsi scopi umanitari. Missioni che i nostri militari sono costretti a fare all’estero invece di impegnarsi a vigilare e a garantire la sicurezza dei nostri confini e dei nostri mari.
Inoltre Mattarella non potrà non tenere nella dovuta considerazione gli ulteriori adempimenti a cui la legge obbliga il Governo e poi ancora il Parlamento in caso di approvazione di atti di indirizzo favorevoli allo svolgimento delle missioni.”.

Le Iene, Comellini (PDM): dopo servizio televisivo presentata denuncia indirizzata alla Procura di Roma per accertare eventuali reati

Come già annunciato lo scorso 2 ottobre, all’indomani della messa in onda del servizio “Parentopoli e lavoro nero in Parlamento” nell’ambito del programma televisivo “Le Iene”, oggi, 5 ottobre, ho presentato alle competenti autorità giudiziarie una dettagliata denuncia nei confronti delle persone che saranno, all’esito delle indagini, identificate come autori dei reati eventualmente ravvisabili dall’esame dei fatti oggetto del predetto servizio televisivo. A prescindere da ogni esito delle attività che verranno svolte dalla Procura di Roma a cui è indirizzata la denuncia, ritengo che i due parlamentari coinvolti nel servizio de Le Iene, il sottosegretario Domenico Rossi e l’On. Mario Caruso, abbiano entrambi il dovere di rassegnare le loro dimissioni da ogni incarico e che il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e quindi il Parlamento abbiano il dovere di accettarle.

Difesa, Comellini (PDM): Dopo servizio Le Iene sottosegretario Rossi chiarisca assunzione proprio figlio Fabrizio. Presenteremo una denuncia, la Ministra Pinotti e Gentiloni ne prendano atto

Grazie al programma televisivo Le Iene, andato in onda ieri 1 ottobre, gli italiani hanno potuto apprendere che il Sig. Fabrizio Rossi, figlio del sottosegretario di Stato alla difesa, On. Domenico Rossi, sarebbe stato assunto come proprio assistente parlamentare dall’On. Mario Caruso e fino qui nulla di strano se non fosse per il fatto che dalla testimonianza della persona intervistata dal giornalista Filippo Roma nel corso del servizio televisivo realizzato con Marco Occhipinti, emergerebbe che invece di lavorare presso l’ufficio del deputato che lo ha assunto, il Signor Fabrizio Rossi lavorerebbe presso un ufficio del padre Domenico situato nei pressi della propria abitazione. Come è ormai noto i membri della Camera percepiscono un importo di 3.690 euro per il rimborso delle spese per l’esercizio del mandato in cui rientrano anche le somme corrisposte ai collaboratori che devono essere documentate. I fatti e le testimonianze resi pubblici nel corso del citato programma meritano doverosi e accurati accertamenti da parte della Procura di Roma perché, in sintesi, il signor Fabrizio Rossi risulterebbe essere stato assunto come collaboratore parlamentare dall’onorevole Caruso ma, come ha dichiarato da quest’ultimo, in realtà “lo paga il padre”, cioè il sottosegretario Domenico Rossi. Per questo motivo, come già fatto in occasione di un precedente servizio televisivo de Le Iene, andato in onda durante la puntata del 5 aprile scorso, concernente l’utilizzo dell’auto di servizio da parte del predetto sottosegretario, nei prossimi giorni presenteremo una denuncia alle autorità giudiziarie competenti affinché sia accertata l’esistenza di eventuali comportamenti illeciti e per chiedere che i responsabili siano perseguiti a norma di legge.

Lettera aperta a Papa Francesco – Incontriamoci, la Chiesa si faccia carico degli stipendi dei cappellani militari

Carissimo Francesco,
Già nel corso della XVI Legislatura del Parlamento Italiano la richiesta di porre a carico della Chiesa cattolica i costi milionari dell’Ordinariato militare, presentata dai parlamentari Radicali, è stata più volte ignorata senza alcuna valida motivazione che potesse superare il dettato normativo vigente. Nessuno dei tanti cittadini di cui oggi mi faccio l’umile portavoce ha mai contestato la presenza dei sacerdoti nell’ambito delle Forze armate ma più semplicemente, semmai, lo “status” con cui essi vi sono presenti: quello militare col rango di ufficiale. Non sono solo il grado da ufficiale e l’aspetto economico che stridono violentemente con quanto hai più volte affermato riferendoti ai posti ed ai simboli di potere occupati dai membri della Chiesa, vi è anche quello squisitamente giuridico e normativo. Non voglio approfittare del tuo tempo, né dello spazio concesso a questa mia lettera, per spiegare qui le ragioni giuridiche che sono alla base della richiesta in parola e che poggiano sull’attenta e costituzionalmente orientata lettura dell’articolo 11, comma 2, dell’Accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato Lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, ratificato e reso esecutivo con la legge 25 marzo 1985, n. 121. Non posso però non rilevare che, sull’argomento, le dichiarazioni della Presidenza della Camera, rese nel corso della seduta del 11 dicembre 2012, e poi ancora successivamente, sono apparse strumentali a sostenere non il diritto e la legge ma, illogicamente, il potere e il denaro che caratterizzano l’essere degli alti gradi militari ed è anche vero che nelle parole di don Angelo Frigerio, intervenuto il 5 dicembre 2013 a radio radicale nella rubrica “Cittadini in divisa”, è immediatamente apparsa chiara la reale volontà di cambiamento tesa a restituire i sacerdoti alle loro originarie funzioni: alla Chiesa e non alle armi, non ai gradi e agli onori militari ma ultimi, fra gli ultimi e più fedeli servitori dello Stato: i militari. Così pure nel corso della trasmissione del programma televisivo “Le Iene”, andata in onda il 19 novembre 2013 e poi ancora il 19 novembre 2014, fu proprio lo stesso Ordinario militare, Mons. Santo Marcianò, ad affermare che i cappellani militari per esercitare il loro ministero non hanno bisogno di gradi e denari. Intenzioni che tuttavia non hanno mai trovato riscontro nella realtà dei fatti: i cappellani militari continuano a rivestire i gradi da ufficiale delle forze armate e a percepirne il relativo trattamento economico, fondamentale e accessorio. Santo Padre, nell’interesse della Chiesa e nel rispetto dell’irrinunciabile principio di laicità dello Stato italiano, con l’auspicio un tuo autorevole intervento capace di rendere concrete nei fatti le parole di Mons. Santo Marcianò e del suo Vicario Don Angelo Frigerio, ti chiedo di concedermi udienza e la possibilità di spiegarti le ragioni su cui poggia la richiesta di smilitarizzare l’Ordinariato. Richiesta che anche recentemente è approdata nell’Aula della Camera dei deputati attraverso le iniziative dei parlamentari del Movimento cinque stelle. Sono certo, anche a nome di quanti vi vorrebbero realmente ultimi fra gli ultimi, poveri fra i poveri, che vorrai perdonare la pubblicità e il modo in cui ti rivolgo questa richiesta di incontro. Nell’attesa di una Tua risposta voglio ricordare a me stesso che nonostante la devastante crisi economica abbia da tempo raggiunto il livello di guardia – oltre il quale anche il rischio per la tenuta democratica del Paese sembra apparire sempre più concreto – anche in questo 2017 che volge al termine dalle tasche dei contribuenti sono stati prelevati ben 9.579.962 euro per il pagamento degli stipendi dei 200 cappellani militari e sebbene sia da anni al lavoro una apposita Commissione paritetica tra la Chiesa e lo Stato con il compito di studiare una riforma, dal trionfale annuncio della sua costituzione del marzo del 2015 ad oggi, non è stato prodotto alcun risultato concreto ma anzi, al contrario, la situazione è sensibilmente peggiorata e l’avversione dei cittadini in divisa e della gente comune nei confronti dei membri dell’Ordinariato militare è aumentata, anche a causa dei recenti provvedimenti normativi di riordino delle carriere del personale militare che non escludono i cappellani militari ma, al contrario, rivestendo i gradi degli ufficiali, li promuovono dirigenti dello Stato (con il relativo trattamento economico).
Affettuosi saluti
Roma, 12 settembre 2017

Luca Marco Comellini

Giovanni XXIII Patrono dell’Esercito italiano? Domani si rivolterà nella tomba

Scegliere Giovanni XXIII come Patrono dell’Esercito italiano è una cosa insensata e illogica che non può trovare alcuna condivisione da parte di coloro che, seppure laici o non credenti, del “Papa Buono” ricordano o hanno appreso gli insegnamenti e l’avversità per ogni guerra. Don Angelo Giuseppe Roncalli, all’entrata dell’Italia nel primo conflitto mondiale, fu richiamato alle armi come sottufficiale nella Sanità per poi diventare cappellano militare ed è forse proprio questo il motivo della scelta fatta dall’Ordinario Militare, il generale di Corpo d’Armata Mons. Santo Marcianò. Al riguardo non posso non condividere il rammarico espresso oggi da mons. Giovanni Ricchiuti, vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti e presidente di Pax Christi Italia. Una scelta decisamente fuori luogo che sembra essere, invece, l’estremo tentativo dell’Ordinariato militare di superare quella crescente avversione che gli appartenenti alle forze armate nutrono nei confronti dei cappellani militari visti, oggi ancora più di ieri, come fruitori di ingiustificabili benefici e privilegi economici di cui hanno potuto godere in passato e ancora oggi grazie all’ignoranza di una classe politica sempre poco attenta alle leggi e al dettato costituzionale ma prontamente capace, col recente riordino delle carriere del personale militare e delle forze di polizia, di promuoverli quasi tutti “dirigenti dello Stato”, attribuendogli, ovviamente, il relativo trattamento economico dirigenziale. Del sottufficiale Roncalli basta ricordare alcune parole per rendersi immediatamente conto che era un uomo di pace e che mai avrebbe immaginato di diventare il patrono di un esercito addestrato alla guerra. “In quattro anni di guerra, quante grazie del Signore per me, quante occasioni di fare del bene ai miei fratelli! Forse mai come ora, il Signore mi fa sentire la bellezza e le dolcezze della povertà di spirito.” Erano queste le sue parole; quelle di un giovane sacerdote che poi diventerà Papa, un uomo della pace in mezzo ad una guerra tremenda che ne segnò profondamente la giovinezza e l’intera vita, che lo portò, da Papa, a schierarsi apertamente contro tutte le guerre con l’Enciclica “Pacem in terris”. Eppure, domani, Giovanni XXIII verrà sacrificato sull’altare di altri interessi. E si rivolterà nella tomba.

Croce Rossa Italiana, Partito Radicale e Pdm: Giudici bocciano la riforma voluta da Monti e noi ve lo avevamo detto.

“Dalla fine del 2011 e fino all’agosto del 2012 i deputati radicali (eletti nelle liste del Pd) con il Pdm (partito per i diritti dei militari) hanno in tutti i modi cercato di fermare gli insani progetti di smembramento della Croce Rossa Italiana ritenendo che la riforma dell’Ente e la soppressione del Corpo militare ausiliario delle Forze armate proposte dal Governo Monti non rispondessero ai criteri contenuti nella legge delega 183/2010, il cui termine, peraltro già ampiamente scaduto, fu rinnovato più volte al solo scopo di permettere l’emanazione di quel decreto legislativo di riorganizzazione della CRI adesso fortemente censurato dai giudici amministrativi che, lo scorso 5 luglio, lo hanno rimesso al vaglio della Corte Costituzionale.

Infatti, il Tar del Lazio, nel rimettere al vaglio della Corte costituzionale l’intero decreto legislativo 178/2012 di riorganizzazione della Croce rossa, non ha fatto altro che confermare quello che fin dal mese di novembre del 2011 la deputata radicale Maria Antonietta Farina Coscioni aveva sostenuto durante i lavori della Commissione Affari Sociali della Camera dei deputati aderendo alle richieste di Luca Marco Comellini, Segretario del partito per la tutela dei diritti di militari e forze di polizia (Pdm).
I Giudici del Tar hanno ritenuto “non manifestamente infondate questioni di costituzionalità, riferibili ai seguenti articoli della Costituzione: 1 (per adozione, da parte del Governo, di iniziative di rilievo politico, non riconducibili al legislatore delegante), 76 (per eccesso di delega, sotto gli specifici profili evidenziati), 3 e 97 (per l’irrazionalità di scelte, destinate ad incidere su servizi di assoluta valenza per la salute, l’incolumità e l’ordine pubblico, senza adeguato bilanciamento fra le esigenze sottostanti a tali servizi e le contrapposte ragioni di contenimento della spesa), 117, con riferimento all’art. 1, comma 1, del Protocollo addizionale CEDU, in cui si garantiscono i beni delle persone fisiche e giuridiche in una accezione, già ricondotta dalla giurisprudenza alla titolarità di qualsiasi diritto, o di mero interesse di valenza patrimoniale, rientrante fra i parametri di costituzionalità riconducibili appunto al citato art. 117, anche per quanto attiene alle modalità di tutela dei lavoratori, con riferimento agli aspetti patrimoniali del rapporto di lavoro.”.

La decisione adesso toccherà ai Giudici costituzionali e in caso di accoglimento della tesi di incostituzionalità prospettata dal giudice remittente il Governo dovrà necessariamente prenderne atto e riparare il danno, già incalcolabile, che si è creato in questi anni per il solo fatto di non averci voluto ascoltare.

Ancora una volta siamo costretti a dire “ve lo avevamo detto”. E ciò con la consapevolezza di aver fatto sempre il nostro dovere.”

Lo dichiarano Maria Antonietta Farina Coscioni, membro della Presidenza del Partito Radicale e Luca Marco Comellini, Segretario del partito per la tutela dei diritti di militari e forze di polizia (Pdm).

 

F35, Comellini (PDM): errore non fu riduzione programma ma impiego risparmi per legge navale

“La riduzione del numero dei velivoli F35, da 131 a 90, non fu un errore e avvenne in attuazione di un preciso ordine del giorno (9/4829-A/61) presentato il 16 dicembre 2011 dai parlamentari Radicali alla Camera su mia espressa richiesta e accolto dal Governo Monti nell’ambito della discussione del disegno di legge di conversione in legge del DL 201/2011, recante disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici.

Il taglio del numero degli F35 fu deciso in coerenza con la reale esigenza delle forze armate e della sostenibilità del programma e, quindi, se di errore si vuole parlare si deve correttamente considerare che successivamente i 5,4 miliardi di euro di risparmi ottenuti con la riduzione del programma JSF, anziché essere utilizzati per diminuire la pressione fiscale sui cittadini, furono destinati con la finanziaria del 2014 al Programma Navale per l’acquisto di nuove navi per la flotta della Marina Militare a cui, nel 2016, seguì l’insensata decisione del Parlamento per dimezzare il budget del programma JSF. Una decisione quest’ultima che, se dovesse essere portata a compimento, rischierebbe di compromettere seriamente la capacità aerea dello strumento di difesa nazionale e a nulla poi potrebbe servire il ripiegare sull’acquisizione di ulteriori Eurofighter se non ad avere aerei certamente inferiori all’F35 ma con costi più elevati.”

La questione F35 è diventata il principale punto di scontro politico per molti nonostante sia solo una parte del problema più ampio che riguarda l’intero sistema decisionale delle politiche della Difesa che, purtroppo, continuano ad essere lasciate al caso o, nella migliore delle ipotesi, nelle mani di personaggi poco o per nulla esperti o con evidenti interessi personali.”